A volte capita di ricordare un episodio o una frase e poi scoprire che non è mai accaduto o non è mai stata pronunciata oppure non è accaduto o non è stata pronunciata in quel modo. Il senso di straniamento è potente, perché la memoria “forte e chiara” è di fatto un’illusione. Com’è possibile che accada una cosa simile?
La risposta è un bug nella complessa attività svolta dal cervello, che prende il nome di “falsi ricordi”.
Cosa sono i falsi ricordi e che origine hanno
I falsi ricordi sono ricordi non autentici. Ma in che senso? La definizione comprende una casistica ampia: ci sono quelli del tutto inventati, quelli basati su ricordi reali ma alterati e quelli creati per aggregazione di vari ricordi.
La letteratura scientifica li raggruppa in due macrocategorie, in base al modo in cui si formano. In questo senso, esistono falsi ricordi di origine biologica e falsi ricordi di origine psicologica.
Nella prima rientrano cause come la sindrome di Wernicke-Korsakoff (una malattia degenerativa del sistema nervoso), l’encefalite, traumi e lesioni del cervello, disfunzioni neurologiche e l’uso di droga. Nella seconda ricadono la “manipolazione” volontaria o involontaria da parte di persone per le quali si nutre fiducia, stima, affetto o amore e alcune terapie “invasive” come l’ipnosi e la Recovered Memory Therapy (RMT).
La distinzione è stata arricchita nel corso degli anni e di numerosi studi con ulteriori possibili spiegazioni, che mescolano le cause biologiche e psicologiche o procedono per strade diverse.
Una è la teoria degli errori di source monitoring, che individua l’origine dei falsi ricordi in uno sbaglio di attribuzione della fonte dalla quale provengono. In questo caso, per fare un esempio, si scambia una cosa pensata (fonte interna) con una cosa accaduta (fonte esterna). Un’altra è la teoria della fuzzy trace, che si basa sul presupposto che i ricordi si depositino a strati – dalle “tracce alla lettera” (i dettagli) alle “tracce di sostanza” (il significato) – e che le false memories si generino dalla (ri)combinazione tra la traccia di sostanza di un episodio non accaduto e la traccia alla lettera di un’esperienza reale.
Tra le origini dei falsi ricordi c’è anche la cosiddetta “amnesia infantile”, ovvero la mancanza di memoria relativa ai primi tre o quattro anni di vita. In questo caso, quelli che sembrano ricordi veri, in realtà sono una “ricostruzione” a posteriori attraverso stimoli esterni come racconti, foto, suggestioni e via dicendo.
L’effetto Mandela: cos’è e perché si chiama così
Cosa c’entra una cosa che si chiama “effetto Mandela” con i falsi ricordi? Per capirlo è necessario riavvolgere il nastro della memoria – a proposito – a qualche tempo fa.
Tutto ha avuto inizio dalla “consulente del paranormale” Fiona Broome. La studiosa ricordava che Nelson Mandela fosse morto in carcere nel 1990 – con tanto di memoria di servizi del telegiornale – ed è rimasta sorpresa quando ha appreso che era ancora vivo (il politico e attivista è mancato nel 2013, dopo essere stato Presidente del Sudafrica dal 1994 al 1999).
Broome ha archiviato la faccenda pensando di avere fatto confusione e non ci ha più pensato. Ma nel 2009, mentre partecipava al DragonCon, ha scoperto che altre persone avevano il suo stesso, identico ricordo della morte di Mandela nel 1990, dei funerali e dei servizi al telegiornale. A quel punto ha iniziato a interessarsi alla questione, ha aperto un blog per raccogliere le testimonianze di altre esperienze simili e il “fenomeno” è entrato a fare parte della cultura pop come “effetto Mandela”.
Ma cosa indica, esattamente, la definizione? In maniera sintetica è possibile dire che descrive i falsi ricordi condivisi da più persone. In altre parole, è una memoria collettiva non autentica, in cui qualcosa di vero viene alterato e modificato o qualcosa che non esiste diventa reale (come nel caso della morte di Mandela).
Al momento non esiste una spiegazione certa per questi episodi di “mistificazione di massa”, ma il fenomeno è al centro di numerosi studi e alcuni sono decisamente non convenzionali. Tra i più estremi ce ne sono uno che attribuisce l’effetto Mandela a una manipolazione delle menti da parte di un non meglio precisato “potere” – in pieno stile cospirazionista – e un altro che tira in ballo niente meno che gli universi paralleli.
I più famosi esempi di effetto Mandela
La (non) morte di Mandela nel 1990 è il “capostipite” degli episodi di falsi ricordi collettivi, ma gli esempi sono tantissimi e due tra i più famosi appartengono al mondo di Star Wars.
Il primo ha a che fare con la celeberrima frase con la quale Darth Vader rivela a Luke la propria identità in Episodio V: L’Impero colpisce ancora. Le parole che tutti ricordano sono: “Luke, io sono tuo padre”. In realtà, lo Jedi passato al Lato Oscuro della Forza dice: “No, io sono tuo padre”. Il secondo esempio non ha la stessa iconicità, ma è comunque un diffuso falso ricordo. Nella memoria collettiva, C-3PO è tutto color oro. Ma non è proprio così: il droide protocollare ha una gamba d’argento.
Un’altra famosissima citazione vittima dell’effetto Mandela appartiene alla storia di Biancaneve. Alla Regina Cattiva viene attribuita la frase: “Specchio, specchio delle mie brame…”. Ma Grimilde in realtà dice: “Specchio, servo delle mie brame…”.
Neppure Topolino si salva. Nella prima e iconica rappresentazione di Mickey Mouse – quella dove indossa i calzoncini rossi – tutti ricordano un paio di bretelle… che non ci sono!
Gli esempi non mancano neppure al di fuori del cinema e della letteratura. Al celebre omino del Monopoli viene attribuito un monocolo che non ha e il logo della Coca Cola è ricordato scritto con un trattino, anziché con un punto com’è nella realtà.
Nel mondo reale è vittima dell’effetto Mandela il manifestante simbolo di Piazza Tienanmen. La colonna di carri armati si ferma pericolosamente vicina al giovane, ma non lo investe. Eppure, nella memoria collettiva, il ragazzo muore schiacciato. Anche Madre Teresa di Calcutta ha a che fare con il fenomeno dei falsi ricordi. Molti sono certi che la missionaria sia stata proclamata santa da Giovanni Paolo II negli anni ’90 (quando era ancora in vita), invece la canonizzazione è arrivata nel 2016 a opera di Papa Francesco.
E che dire del logo della Fruit of the Loom (ricordato come una cornucopia, quando è solo frutta senza alcun contenitore), della coda di Pikachu (che nella memoria collettiva ha uno zig-zag nero e invece è tutta gialla) e della inesistente coscia di pollo impugnata da Enrico VIII in uno dei suoi più celebri ritratti?
L’elenco è lungo e potrebbe continuare ancora (davvero, ci si potrebbe fare un quiz) e dimostra che l’effetto Mandela è un fenomeno diffuso. Più diffuso di quanto si pensi, perché è difficile rendersi conto di esserne vittima.
A cura di: Patrizia Saolini
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