Nella società di oggi, l’umiltà è considerata un difetto, una “mancanza” di stima e fiducia in sé stessi, di affermazione personale e capacità di iniziativa. Ma la realtà è che è vero esattamente il contrario. Al punto che l’umiltà viene inserita dagli addetti ai lavori tra le potenzialità imprescindibili di un leader di successo.
Perché allora è considerata una “debolezza”? Da dove nasce il misunderstanding e perché l’umiltà è una qualità da coltivare e praticare?
Cos’è (davvero) l’umiltà
Nel pensiero comune, essere umili vuole dire essere privi di ambizione, deboli, sottomessi e arrendevoli. Tutti “disvalori” che impediscono di trovare, esprimere e realizzare sé stessi e la propria visione. Questa lettura è una interpretazione travisata della “modestia” predicata dal cristianesimo ed è – soprattutto – una visione parziale.
Basta consultare un paio di dizionari per verificare che la parola “umiltà” ha un significato molto più complesso e che una definizione che ricorre sempre riguarda la capacità di riconoscere i propri limiti. Ben lontano dall’essere un imbelle destinato a una vita nell’ombra, l’umile è – al contrario – un individuo che ha consapevolezza di sé – di chi è e non è, di cosa ha e non ha – e da questo presupposto parte per crescere, migliorare e realizzare sé stesso. Ma non solo.
L’umiltà intesa come “capacità di riconoscere i propri limiti” porta con sé anche un’apertura nei confronti degli altri priva di invidia e pregiudizio e un’attitudine positiva nei confronti della realtà che permette di imparare da ogni esperienza. Inoltre mette al riparo dalla trappola della ricerca di accettazione e benevolenza a ogni costo e permette di pensare e agire in maniera libera e coerente con sé stessi.
A cosa serve l’umiltà nella vita e nel lavoro
L’umiltà in quanto consapevolezza di sé e dei propri limiti è una potenzialità di enorme valore tanto nella sfera privata che in quella professionale. La capacità di riconoscere e accettare le proprie mancanze e i propri errori non è solo il primo e fondamentale presupposto per imparare ed evolvere come persona e lavoratore, ma anche per instaurare e coltivare relazioni costruttive e arricchenti.
Essere umili vuole dire riconoscere a ciascuno qualità peculiari e competenze specifiche e collaborare per raggiungere uno o più obiettivi condivisi. Un comportamento che porta con sé la capacità di ascoltare con rispetto, in maniera imparziale e partecipata le idee e i punti di vista di chi sta intorno e di comunicare con chiarezza, trasparenza ed equità.
L’umiltà alimenta l’empatia e svolge un ruolo cruciale nello sviluppo dell’intelligenza emotiva e della mentalità aperta e flessibile che sta alla base della capacità di abbracciare il cambiamento e dell’abilità di diventare più forte e migliore dopo un evento destabilizzante.
Come coltivare l’umiltà
L’umiltà è una potenzialità e può essere appresa, coltivata e accresciuta. Ma in che modo? Il primo passo consiste nell’uscire dalla comfort zone e prendere atto in maniera oggettiva e realistica dei propri fallimenti. Nascondere le sconfitte o fingere che non ce ne siano mai state non solo impedisce di cogliere una preziosa opportunità di crescita, ma fa vivere l’illusoria convinzione di essere migliori e di non avere nulla da imparare dagli altri. Avere l’onestà intellettuale di ammettere di avere sbagliato e fare tesoro dei propri errori è un requisito fondamentale dell’umiltà.
In maniera analoga lo è anche riconoscere le competenze e le capacità degli altri e celebrare i loro successi. Essere invidiosi e svalutanti è un comportamento distruttivo, che non porta valore aggiunto a nessuno e consuma tempo ed energia che – al contrario – possono essere dedicati a una emulazione costruttiva.
Ammettere di avere bisogno di aiuto, evitare di giudicare, condividere informazioni, risorse e successi sono altre “buone abitudini” utili a imparare e sviluppare l’umiltà. Così come riconoscere che la perfezione non esiste e agire in maniera rispettosa e gentile.
A cura di: Patrizia Saolini
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